E
così se n’è andato un altro grande sportivo buccherese:
Giuseppe Silvestro, meglio noto a tutti come “Cipè”.
Ci ha lasciato un gran personaggio, uno di cui si sentirà
parlare spesso tra gli sportivi di Buccheri. Una persona
squisita, buona, semplice, sincera, schietta. Un uomo che non
tramonterà mai nella memoria di tutte le società sportive del
paese, dal 1950 sino ad ora.
Così come Vito Cataldo (Taratozzo) e Angelo Filippone hanno
lasciato un gran vuoto tra gli sportivi, amici e conoscenti,
anche lui, il grande Peppe, sarà stampato nella memoria di tutti
noi come un fine intenditore di calcio ed uno dei più sfegatati
sportivi del paese.
“Il calcio - diceva egli stesso, seduto davanti al bar della
Mazzacana, in sacra assemblea, presente Vito Taratozzo, Angelo
Filippone, Pippo Calisti, i fratelli Vacirca e Paradiso, Matteo
Nicolini, io ed altri giocatori o sportivi – è stata la mia
vita, la mia rovina e la mia resurrezione”.
Ci raccontava di quando andò a Palazzolo Acreide per conoscere
la futura moglie, la cui casa – ecco il fato! – era vicina al
campo di calcio. Il padre della ragazza, anch’egli uno sportivo,
mentre le donne parlavano, sentiva le urla dei tifosi dal vicino
campo sportivo e, naturalmente, fremeva per vedere la partita di
calcio. Perciò, inventò la scusa di comprare le sigarette e
uscì. Peppe, che aveva anch’egli sentito le urla e che fremeva
come le corde di un violino, che poteva fare se non, cogliendo a
volo l’occasione, prestarsi subito a fargli compagnia? E fu così
che il futuro sposo e futuro suocero, lasciando da parte i
convenevoli del fidanzamento, in men che non si dica si
trovarono al campo sportivo a tifare a squarciagola per la
squadra del cuore.
In famiglia perciò, sapendo questa sua smisurata passione per il
calcio, decisero di mandarlo a lavorare in Svizzera, come in
quei tempi – d’altronde – buona parte dei Buccheresi.
“E – continuava il grande Peppe – arrivai a Zurigo di notte.
Alloggiai in un hotel e dormii, stanco del viaggio. La mattina
seguente fui svegliato da voci concitate, tanto che non potei
più dormire. Mi alzai, aprii la finestra e… che vidi? Un campo
sportivo sotto la finestra e dei giocatori che stavano
disputando una partita! E allora pensai che il pallone mi
perseguitava!
Andai poi a Como in cerca di lavoro: scesi dal treno e, stanco,
mi fermai al primo bar. Seduto, ascoltavo alcune persone parlare
animatamente. Dapprima pensai che erano stranieri, poi a poco a
poco capii che parlavano in dialetto comasco, per me
incomprensibile. Siccome alcuni cominciarono a parlare in
italiano, appresi che discutevano della partita che si doveva
disputare in quello stesso pomeriggio tra le squadre del Como e
del Palermo, che a quei tempi erano in serie A. Ogni tanto uno
di loro mi guardava. Io, non conoscendo nessuno, non partecipavo
alla discussione, ma ascoltavo attentamente, fino a quando
quello che mi fissava si rivolse a me apostrofandomi: “Ma lei,
che non ne capisce di calcio? Come può stare lì impalato senza
dire una parola? Ma che non ne ha sangue nelle vene?” - “A me,
capite? - ci diceva Peppe fissandoci in faccia uno ad uno - a me
quello rimproverava che non ne capivo di calcio e che non avevo
sangue nelle vene! A me! Proprio a Peppe! Allora non ci ho visto
più ed ho sciorinato loro tutta la formazione del Palermo,
quella del Como, quelle della Juventus, del Milan, dell’Inter e
di tutte le squadre di serie A e di serie B, e quelle della
Nazionale dal 1950 ad ora, con i risultati delle partite ed i
nomi dei giocatori che avevano segnato i gol! Così hanno
imparato chi è Peppe! Fu proprio allora e in quel bar –
continuava Peppe - che uno di loro, che non aveva quasi mai
parlato, mi chiese cosa facevo. Io risposi che cercavo lavoro e
fu così che restai per lungo tempo alle dipendenze della società
calcistica e della squadra del Como”.
Aveva detto la sacrosanta verità.
Questi ed altri aneddoti ci raccontava spesso Peppe, con quegli
occhioni buoni, spalancati, a rafforzare ancor più le sue
parole.
Ho voluto ricordare soltanto alcune delle innumerevoli avventure
sportive del nostro Peppe, perché se dovessi scriverle tutte,
sportive e non (come, per esempio, quella della patente), non
basterebbe un libro.
Addio, grande sportivo, tenero Peppe. Un affettuoso saluto da
tutti gli sportivi Buccheresi, vicini e lontani. Mentre ci sei,
salutaci Vito Taratozzo e Angelo Filippone.
Ciao. (omaggio di Tanino Cannata)
Quando Peppe era in Svizzera, desideroso di conseguire la
patente di guida, all'esame attraversó l'incrocio col rosso. Al
che l'ingegnere gli chiese : " Ma in Italia cosa vedete in alto
"? . E lui rispose candidamente : " A Maronna, u Signuri,...". E
l'interlocutore precisó : " Ecco; qui in Svizzera, invece ,
guardiamo i semafori ! "(Nello Benintende)
Ricordo che a Giarratana, per la Coppa Montelauro, come spesso
accadeva, la partita finìu a schifiu con botte da orbi. E Peppe
sentenzió : " In questo villaggio non metteró piú piede ".(Nello
Benintende )
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